convegno del 17 maggio 2004  presso la camera dei deputati

sala del cenacolo - via valdina (Roma)

 

 

Il caso Eni: UN’OCCASIONE MANCATA

 

1. La dimensione occupazionale

Riassumo alcuni dati che aiutano a capire la dimensione dell’ENI (tratti dal bilancio Eni 2003):

·        Fatturato                51,5 miliardi di Euro

·        Utile operativo         9,5 miliardi di Euro

·        Utile netto                5,6 miliardi di Euro

·        Costo Lavoro          3,4 miliardi di Euro

·        Dipendenti               76.521

 

Complessivamente, l’occupazione dell’Eni al 31.12.2003 è quindi di 76.521 dipendenti, un dato importante ma bisogna tener conto che rispetto all’anno 2002 c’è stata una diminuzione di circa 4.200 unità (-5 %), determinata dalla riduzione di 1.500 occupati in Italia e di 2.700 all’estero.

 

I dipendenti in Italia sono 42.235, ma bisogna considerare che negli ultimi anni il numero dei dipendenti Eni in Italia è progressivamente diminuito, fino a scendere nel 2003 al 55% dell’occupazione complessiva del Gruppo.

 

Da notare che la riduzione di 4.200 unità sconta 2.000 nuove assunzioni, per cui l’effettiva riduzione occupazionale è di oltre 6.000 addetti, la maggior parte dei quali con contratti di lavoro a tempo indeterminato, se a ciò si aggiunge che le nuove assunzioni sono fatte per circa il 50% con contratti a tempo determinato si genera un aumento generalizzato di lavoratori precari, in un gruppo che in passato ha sempre fatto occupazione stabile e in continua crescita. Tra l’altro si è sconfinato spesso in un utilizzo spregiudicato dello strumento della mobilità, facendo pagare, di fatto, all’INPS parte dei dividendi distribuiti agli azionisti (di cui fanno parte anche i fondi pensione americani, quindi con i soldi INPS si pagano le pensioni americane! Strano gioco del mercato!).

 

2. Il mancato sviluppo delle Energie Rinnovabili (in confronto a BP, Shell ecc.)

Mentre nell’Eni l’occupazione e lo sviluppo diminuisce, la produzione di idrocarburi ha raggiunto 1,56 milioni di barili/giorno con un aumento del 6,1%, e con l’obiettivo di produrre nel 2007 circa 1,9 milioni di barili/giorno corrispondenti a un tasso di incremento medio annuo del 5%.

Le riserve certe di idrocarburi al 31 dicembre 2003 hanno raggiunto i 7.272 milioni di barili con un aumento di 242 milioni di barili rispetto al 2002. La vita utile residua delle riserve è di 12,7 anni.

Tutto questo mentre con la ratifica del Protocollo di Kyoto, l’Italia si è impegnata a ridurre, nel periodo 2008-2012, le proprie emissioni di gas serra del 6,5% rispetto al 1990.

 

Ma le riduzioni possono essere effettuate sia con misure interne sia mediante i cosiddetti “meccanismi flessibili”. Questi ultimi permettono di realizzare progetti in Paesi in via di sviluppo e in Paesi industrializzati o con economie in transizione e di acquisire, per questa via, riduzioni di emissioni che sono considerate equivalenti a riduzioni interne. Il “Piano d’azione nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra: 2003-2010” varato dal governo attuale, ha previsto un ampio ricorso ai meccanismi flessibili per conseguire gli obiettivi di Kyoto, anziché prevedere politiche più attive di riduzione delle emissioni (per esempio attraverso l’uso di fonti rinnovabili di energia).

 

L’Eni si è subito distinto in questa politica miope, sfruttando la sua presenza operativa in circa 70 Paesi esteri per realizzare all’estero, anziché in Italia, progetti di riduzione dei gas serra. In vista di questo obiettivo, in occasione della Conferenza delle Parti firmatarie del Protocollo di Kyoto svoltasi a Milano nel dicembre 2003, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e l’Eni hanno sottoscritto un Accordo volontario per l’utilizzo dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto e per promuovere la realizzazione di progetti all’estero, al fine di acquisire crediti sulle emissioni per l’Italia.

 

La riduzione delle emissioni che L’ENI ritiene di attuare all’estero è connessa alle attività minerarie di estrazione di idrocarburi, poiché in vari casi è necessario bruciare in torcia il gas associato alla produzione di petrolio, l’eliminazione della torcia e l’utilizzo del gas residuo permette di diminuire l’emissione dei gas serra. Il riconoscimento di tali progetti come progetti di riduzione delle emissioni potrà consentire di acquisire crediti di emissione e facilitare il perseguimento dell’obiettivo italiano di riduzione delle emissioni.

 

Quindi l’Italia e l’Eni hanno trovato un modo formalmente ineccepibile per ridurre le emissioni senza impegnarsi più di tanto nello sviluppo di fonti rinnovabili di energia, come il fotovoltaico, a differenza di quello che avviene in altre multinazionali come l’olandese SHELL o l’inglese BP che, dall’investimento di capitali importanti nelle fonti rinnovabili, hanno anche avuto un forte ritorno di immagine.

 

3. Cenni sul fotovoltaico: situazione italiana

Vorrei, a questo punto, riassumere brevemente quello che in dieci anni (1992 – 2002) è stato l’impegno di alcuni paesi nel settore fotovoltaico in termini di potenza installata in MW:

Paese                                                 1992                                       2002                   %

Australia                                                   7                                          40                  + 570 %

Austria                                                     0,5                                          9                 + 1.800 %

Germania                                                 5                                        260                  + 5.200 %

Giappone                                               10                                        650                  + 6.500 %

Italia                                                         8,5                                        22                 + 258 %

Totale                                                     31                                       981                  + 3.100 %

Di cui Italia                                              28 %                                   2 %                

 

Da questi dati si evince come l’Italia, che nel 1992 aveva una posizione rilevante non abbia poi sviluppato adeguatamente il fotovoltaico, (ancorché negli anni scorsi, con il governo dell’Ulivo + Rifondazione, siano state avviate delle importanti azioni, ad es. il programma 10.000 tetti fotovoltaici) risultando attualmente molto indietro non solo nell’installazione di sistemi fotovoltaici (22 MW installati in Italia a fronte dei 260 MW della Germania e dei 650 MW del Giappone) ma anche nella ricerca e nella produzione. Caso emblematico è quello dell’ENI, che dopo il referendum sul nucleare trasformò la società Combustibili Nucleari in Italsolar (poi Pragma, poi Eurosolare), svolgendo un ruolo comunque significativo (insieme all’ENEA) nella ricerca, produzione e installazione di sistemi fotovoltaici, sviluppando anche un interessante rapporto di cooperazione con i paesi (Asia, Africa e Sud America) dove l’ENI era presente per l’estrazione di idrocarburi, promuovendo in tali aree l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica in zone rurali distanti dai luoghi di produzione di energia elettrica convenzionale (quello che oggi stanno facendo SHELL e BP).

 

Tale ruolo è poi naufragato perché troppo distante dai nuovi indirizzi strategici dell’ENI, privatizzato e quotato in borsa, che deve rispondere soprattutto all’esigenza di creare profitti da dividere tra gli azionisti (in primis i fondi pensione americani). Infine l’Eurosolare è tornata ad essere una società che fa solo ricerca, perché L’ENI non ha saputo né voluto rispondere adeguatamente all’impatto della concorrenza commerciale, soprattutto del Giappone (Sharp.) nel mercato italiano, mercato che si avvia a diventare interessante anche per i sostegni finanziari (vedi programma dei 10.000 tetti fotovoltaici) promossi dal Ministero dell’Ambiente con il contributo delle Regioni. Tali azioni appaiono però meno che sufficienti a fronte degli sviluppi attuati in Giappone, Germania, paesi del Nord Europa e dell’Australia che sta procedendo con molta determinazione in questo settore promuovendo tra l’altro l’istituzione a livello universitario di una Facoltà di Ingegneria dei sistemi fotovoltaici, dalla quale sono già usciti i primi laureati.

 

Evidenzio che l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica risponde al meglio all’esigenza di produrre energia nel pieno rispetto dell’ambiente, usando una fonte rinnovabile come il sole e senza produrre emissioni o rifiuti dannosi per l’eco sistema. Rimane certo da ottimizzare l’aspetto economico, che può essere migliorato attraverso gli eco-incentivi e una minore tassazione, mentre una drastica riduzione dei costi si potrà avere con l’aumento delle installazioni e il miglioramento della ricerca e della produzione industriale dei sistemi. Tutto ciò può evolversi più rapidamente attraverso le spinte esercitate dal basso perché appare evidente che gli interessi di chi oggi ha posizioni dominanti sul mercato della produzione dell’energia (elettrica) convenzionale, quindi le grandi multinazionali del petrolio e dell’energia (come l’ENI e l’ENEL in Italia) non hanno alcun interesse diretto a modificare gli equilibri degli attuali business. Quindi solo attraverso la spinta dei cittadini, politiche mirate, leggi opportune, nonché l’esigenza imprescindibile di passare ad un sistema di energie rinnovabili, potrà nel tempo, si spera breve, modificare le attuali dinamiche.

 

4. Il ruolo del sindacato

Vorrei a questo punto ricordare quello che la RSU Syndial ex Enichem di Roma (all’epoca dei fatti  RSU Enirisorse) e la FULC (CGIL-CISL-UIL) sia Nazionale che Territoriale di Roma e del Lazio, hanno portato avanti a partire da un convegno fatto nel 1996, siamo nel periodo che segue il Summit di Rio del 1992, a cui l’ENI aveva partecipato con grande impegno, e alla vigilia del Protocollo di Kyoto. Il Convegno fu fatto anche per cercare di convincere l’ENI (che non dimentichiamo ancora oggi è per 1/3 dello Stato quindi dei cittadini) ad aumentare gli investimenti nel settore dell’ambiente e delle energie rinnovabili.

 

La R.S.U. CGIL-CISL-UIL di Enirisorse riuscì a stabilire un tavolo con la Direzione Programmazione dell'ENI, per valutare quali nuove iniziative, collegate con l'Ambiente e le Energie Rinnovabili, potessero essere intraprese anche come fattore di riconversione di Enirisorse già capo-settore ENI del comparto minero-metallurgico, sia a livello nazionale che locale, in collegamento con il costituendo Polo Tecnologico di Roma Tiburtina.

 

Si cercò sia con accordi territoriali, che attraverso accordi tra FULC Nazionale ed ENI, di impegnare la compagnia petrolifera italiana ad investire nel settore del solare fotovoltaico, nel quale era presente con Eurosolare (lo è ancora ma solo marginalmente), e nei settori ambientali relativi alle bonifiche dei siti inquinati e allo smaltimento e riciclaggio di rifiuti e residui industriali; creando a Roma “Un Polo dell’Ambiente e delle Energie Rinnovabili” nonché un coordinamento nazionale di tali attività, con un conseguente incremento occupazionale in settori eco compatibili ed economicamente convenienti. Inoltre L’ENI stesso nel Convegno Internazionale su “Clima e Energie Rinnovabili” tenuto a Roma nel 1998, annunciò l’avvio di un progetto con importanti investimenti in questi settori.

 

Ma i progetti, gli impegni e quindi la possibilità di investimenti in questi settori sono stati abbandonati dall’ENI, quando, anche in presenza di una modifica del quadro politico nazionale (leggasi cambio di governo), nonché anche del management industriale e confindustriale, si è tornati alla concentrazione sul core business petrolifero, peraltro in controtendenza rispetto a quanto altre grandi compagnie petrolifere stavano facendo.

 

5. Conclusioni

E concludo, dicendo che noi continueremo come Sindacato nel nostro impegno, nelle nostre battaglie anche quotidiane. Quello che auspichiamo e che vorremmo, anche attraverso il necessario cambiamento del quadro politico attuale, sia nazionale che internazionale, che sta provocando sia sul versante ambientale ma anche su quello economico, sociale ed occupazionale una vera catastrofe, che spero non sia irreparabile, è un rinnovato impegno a partire dai Verdi, ma di tutte le forze dell’Ulivo e del cento sinistra, per accelerare il necessario cambiamento delle politiche ambientali, e quindi anche sociali ed occupazionali.